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27.08.2024

Una delegazione colombiana all'ONU

Perché vale la pena intraprendere un viaggio dalla Colombia alla Svizzera per parlare di diritti umani calpestati? Bilancio di un viaggio di sensibilizzazione che ha coinvolto due cooperanti di Comundo con le rispettive organizzazioni partner e i loro colleghi colombiani. Perché è così che interpretiamo la cooperazione allo sviluppo noi di Comundo: uno scambio che va da Nord a Sud e da Sud a Nord!

Da sinistra: Tullio Togni, Oveimar Tenorio, Oswaldo Rodriguez Macuna (Ipurepi), Laura Kleiner e Francisco Henao Bohorquez

Laura Kleiner (cooperante di Comundo alla Corporación Jurídica Yira Castro) e Tullio Togni (cooperante di Comundo al Consejo Regional Indígena del Cauca-CRIC), accompagnati dai loro colleghi colombiani Oveimar Tenorio (coordinatore politico della Guardia indigena del CRIC), Francisco Henao Bohorquez (avvocato della Corporación Jurídica Yira Castro) e Ipurepi (alias Oswaldo Rodríguez Macuna, rappresentante del popolo Je'eruriwa) sono unanimi: è necessario smuovere la comunità internazionale a occuparsi dell’emergenza umanitaria in corso in Colombia, dove il conflitto armato e la violenza si sono intensificati negli ultimi anni. Per questo Comundo ha ritenuto importante finanziare questo viaggio che ha permesso loro di partecipare alla 17ª sessione del Meccanismo di esperti sui diritti dei popoli indigeni (MEDPI) dell'Onu e di incontrare la popolazione svizzera a Ginevra, Losanna, Berna e in Ticino, per diversi momenti di sensibilizzazione. 

Nel mese di luglio questa “delegazione colombiana” è rimasta per una settimana di stanza a Ginevra, dove hanno partecipato alla 17ª sessione del MEDPI dell'Onu. Parallelamente, hanno avuto diversi incontri bilaterali con specialisti di diritti umani (come l’avvocato Olivier Petter), con rappresentanti politici (come l’ambasciatore colombiano a Ginevra) e con altri movimenti sociali. La sera hanno animato degli incontri con la popolazione a Ginevra, Losanna e Berna, dopo la visione di un documentario sulle lotte delle popolazioni autoctone della regione del Cauca. E per finire, prima di rientrare in Colombia, sono pure riusciti a passare in Ticino, dove hanno incontrato un gruppo di persone militanti per i diritti dei popoli indigeni. 

Laura Kleiner e Tullio Togni, cosa vi siete portati a casa da questa esperienza?

Prima di tutto, al di là della partecipazione al MEDPI dell’ONU, la solidarietà e l’interesse delle numerose persone che abbiamo incontrato e con cui abbiamo dialogato, soprattutto negli eventi di sensibilizzazione che si sono svolti a Losanna, Ginevra, Berna e in Ticino. Per noi è stato importante trovare questa partecipazione attiva di persone che per quanto si trovino fisicamente lontano dalla Colombia, nutrono un sincero interesse rispetto alla questione dei diritti umani e delle popolazioni indigene. Al contempo, è per noi stato fondamentale poter contare sulla presenza dei colleghi colombiani: da un lato per poter presentare a loro una parte della “nostra vita” (il nostro paese e “la nostra gente”) e dall’altra per permettere ai membri dei nostri gruppi di sostegno di ascoltare le loro parole e le loro esperienze.

In secondo luogo, la partecipazione al MEDPI all’ONU a Ginevra è stata un’esperienza sicuramente arricchente, sia per la possibilità di entrare fisicamente nei palazzi delle Nazioni Unite e vederne il funzionamento, sia per l’importanza di portare delle situazioni regionali a un livello internazionale.

Cosa succede adesso che siete tornati in Colombia? C'è stato un cambiamento in voi o nelle persone che vi hanno accompagnati?

Il viaggio di sensibilizzazione e la partecipazione al MEDPI è stato, sia per noi sia per i nostri colleghi, un’iniezione di fiducia e di ottimismo. Le persone che ci hanno accompagnato sono ritornate in Colombia con la consapevolezza di aver portato le loro cause e conoscenze a un importante livello di visibilità, e inoltre le loro comunità e i loro processi organizzativi hanno riconosciuto e valorizzato molto quanto fatto. Al tempo stesso, questo viaggio ha dato la possibilità ai nostri colleghi di conoscersi e conoscere le realtà degli altri, le quali malgrado rientrino in un comune denominatore, spesso rimangono frammentate, isolate e sconosciute anche all’interno della Colombia.

Per quanto ci riguarda, siamo contenti e riconoscenti di aver approfittato a fondo di questa opportunità data da Comundo attraverso il viaggio di sensibilizzazione: nonostante l’impegno e la preparazione logistica, abbiamo fatto il pieno di emozioni, di momenti significativi, di condivisioni e apprendimenti. Torniamo ora al nostro lavoro in Colombia con la consapevolezza di aver fatto una cosa bella, e di averla fatta con la complicità dei nostri colleghi e l’appoggio di Comundo. Ora ci rimettiamo al lavoro con tanta voglia di dare il massimo nel periodo contrattuale che ci rimane.

Dagli incontri all'ONU si è potuto ricavare qualcosa? E dalle altre riunioni bilaterali? Potete fare degli esempi?

Al di là dell’aver potuto dare visibilità le violazioni di diritti umani davanti di fronte a un organismo internazionale come l’ONU e di imparare a farlo in maniera succinta usando i 3 minuti a disposizione nel migliore dei modi, al di là dei contatti creati con altri rappresentanti di popolazioni indigene provenienti da tutto il mondo, la partecipazione al MEDPI e alle riunioni bilaterali hanno permesso di portare delle rivendicazioni e di concretizzare delle richieste specifiche.

Grazie a una riunione con il Relatore Speciale per i Diritti dei Popoli Indigeni José Francisco Calí Tzay, si è potuto complementare le informazioni di contesto e relative al conflitto armato che gli si erano presentate in occasione della sua visita in Colombia in marzo 2024 (vedi intervista rilasciata da Tullio e Laura prima del MEDPI: Comundo tra gli esperti di diritti umani dell'ONU); a colloquio con l’assistente della Relatrice Speciale per i Difensori dei Diritti Umani Mary Lawlor, si è potuto sollecitare una visita urgente in Colombia per conoscere la situazione in prima persona; il consigliere della missione permanente della Colombia all’ONU, Ramón Muños Castro, ha più volte risaltato l’importanza di ricevere delegazioni di organizzazioni della società civile e ha garantito il suo impegno nel mantenere le relazioni. Più nell’immediato, dopo l’intervento al MEDPI dei colleghi di Laura, un’importante magistrata della giustizia di transizione colombiana (la Justicia Especial para la Paz – JEP), Belkis Florentina Izquierdo Torres, ha richiesto una riunione all’organizzazione partner di Laura per discutere il caso della comunità Je’eruriwa, rappresentata a Ginevra da Ipurepi (Oswaldo Rodriguez Macuna, il suo viaggio in Svizzera è stato in parte finanziato dall’associazione Incomindios, ndr).

Questi sono solo alcuni esempi dei risultati che si sono ottenuti nel corto termine; pensando invece in prospettiva, benché né noi né i nostri colleghi ci aspettiamo grandi interventi da parte dell’ONU, consideriamo importante l’insistenza nel denunciare le violazioni dei diritti umani e le ingiustizie storiche e strutturali: essere presenti, conoscere e farsi conoscere, è un modo di mantenere viva l’attenzione e di cercare un’alternativa alla violenza.

In conclusione, ne valeva la pena?

Assolutamente sì: anche prima della realizzazione del viaggio, nei momenti in cui ci rendevamo conto che la preparazione e pianificazione era effettivamente piuttosto impegnativa e ci scoraggiavamo un po’, ci dicevamo sempre che “ne varrà comunque la pena”. L’esperienza ha poi senz’altro superato le aspettative!


Per saperne di più, leggi la nostra rassegna stampa 

Perché la firma degli accordi di pace non significa la fine dei conflitti in Colombia?

 

La storia della Colombia è caratterizzata da sessant’anni di scontri tra Governo e Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), Esercito di Liberazione Nazionale, narcotrafficanti, paramilitari e altri gruppi armati. A partire dagli anni ’80 vi sono stati diversi accordi per la risoluzione del conflitto, per arrivare a una firma degli accordi di pace tra Governo e FARC nel 2016. Questo, tuttavia, è ben lungi dall’aver portato a una situazione di pace: dopo un paio d’anni di una tregua relativa, nel 2018 il conflitto si è riconfigurato con i dissidenti: gruppi armati che vogliono controllare territori strategici, come il Cauca, appunto, per il traffico di droga. Sono quindi tornati ad aumentare gli episodi di vio-lenza: omicidi, torture, sfollamento. Vi è anche una forma di violenza simbolica, con l’assassinio di leader indigeni e il reclutamento forzato di giovani indigeni. Il conflitto ha perso completamente la componente politica che contraddistingueva le FART e dava loro una certa legittimità, diventando semplicemente una guerra che sta sterminando soprattutto le popolazioni indigene.