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05.06.2024

Fare la cosa giusta

Il senso di giustizia ti viene dal Vangelo, da Marx o dalla tua pancia: non importa. Conta che è quella motivazione che ti spinge a partire, a rimboccarti le maniche e a guardare qualcuno negli occhi, con senso di amicizia. Sono più di trent’anni che sosteniamo le persone che decidono di partire come cooperanti. Alcune ci assomigliano: si parte con il cuore, una buona preparazione e un senso di rivolta contro le ingiustizie.

Marzia e Enzo Ritter, cooperanti in Perù dal 1987 al 1990

Marzia ed Enzo Ritter sono partiti nel 1987 come cooperanti. Un’esperienza che non è mai più uscita dalla loro testa e dai loro cuori. Enzo è ancora oggi attivo nella preparazione e selezione delle e dei cooperanti di Comundo nella Svizzera italiana ed entrambi sono membri di alcuni gruppi di sostegno.

Qui sotto vi proponiamo una testimonianza raccolta da Sara Rossi Guidicelli per il libro “Storie di questo mondo”, pubblicato in occasione dei 50 anni dell’associazione Inter-Agire.

Il Vangelo, Marx, il tuo cuore: dicono tutti la stessa cosa

È stato mio papà, mi ha detto: «Studia agronomia, così puoi andare in giro per il mondo». Quando ho compiuto quarant’anni sono partito. Avevo rimandato a lungo, ho fatto anche il Sessantotto. Avevo tentato di partire con il Dipartimento federale di Sviluppo e Cooperazione, ma chiedevano esperienze precedenti; nel frattempo ho insegnato geografia alla Magistrale, sono tornato a studiare, ho fatto il giornalista free-lance e altro. L’occasione è venuta negli anni Ottanta, insieme a mia moglie Marzia, conosciuta da tutti come Pupa. Ci dicevamo: «Non siamo riusciti a cambiare la nostra società, vediamo se altrove ce la facciamo». Abbiamo cominciato a frequentare Solidarietà Terzo Mondo dove è saltata fuori la possibilità di andare in America Latina, che ci piaceva, un po’ per la Rivoluzione cubana, un po’ perché avevamo viaggiato tra gli Andini che ci avevano accolti benissimo, un po’ perché mio papà è nato in Brasile e in qualche modo mi sono sempre sentito legato a quella parte del mondo.

Il problema degli alpaca e degli allevatori 

Ci hanno proposto un progetto a Sibayo, un villaggio a 3800 metri, insieme ad allevatori di alpaca che vendevano lana grezza senza ricavarci quasi niente; era stata costituita una cooperativa per cercare di migliorare le entrate degli allevatori trasformando la lana in prodotti finiti. Siamo andati con i nostri figli, il grande di undici anni (che poi però è tornato dopo meno di un anno in Svizzera) e la piccola di tre. Stavano tutto il giorno di fuori, si sono divertiti, e da grande nostra figlia ci ha ringraziati di questo viaggio. Anche se pioveva dentro casa, faceva freddo di notte e caldo di giorno, non c’era acqua corrente né elettricità, sentivamo che non ci mancava niente. In aereo ci eravamo portati un pannello fotovoltaico e quindi avevamo la luce in casa. Questo faceva sì che la sera avessimo sempre molti ospiti da noi e abbiamo parlato tutte le notti, moltissimo.

Il nostro lavoro è stato incoraggiare i contadini a tessere la lana prima di venderla, realizzando manufatti e provando a venderli alle Botteghe del Mondo. Era passata la moda dei maglioni con sopra disegnati i lama, allora dovevamo inventarci nuovi motivi da disegnare, prepararne di tutte le taglie, fare anche delle borse, dei ponchos, delle fasce per portare i bambini sulla schiena (lliclas). Pupa veniva dall’Accademia di Brera e lavorava insieme alle donne, mentre le bambine dopo la scuola guardavano e imparavano. Io facevo la contabilità e la promozione della cooperativa. Gli uomini filavano e tessevano pure loro. Vendevamo in Svizzera e in un negozio di Arequipa, la città più vicina, dove c’era un negozio per turisti gestito da un commerciante inglese.

Abbiamo aperto un conto in banca per loro, perché in quanto Andini nessuno li considerava interlocutori affidabili, funzionava solo con il nostro tramite. Era una cosa che naturalmente ci indignava, ma era così: dovevamo noi fare da garanti. Una volta abbiamo invitato i membri della cooperativa nell’albergo dove soggiornavamo ad Arequipa, una pensioncina deliziosa con dei proprietari che ci coccolavano e con i quali avevamo un bel rapporto. Era la prima volta che loro avevano contatti ravvicinati con degli Indios e penso che sia stata un’esperienza importante, perché hanno sciolto un po’ dei loro pregiudizi nei riguardi di questi popoli di montagna.

E dopo, il Ticino ci è sembrato stretto

Al ritorno era strano il Ticino, così angusto, così straripante di case, dopo tre anni in cui il cielo era enorme e gli spazi vasti a perdita d’occhio. Siamo “scappati” in Umbria, ma non trovavamo lavoro e dopo tre anni siamo tornati. Qui ci siamo riavvicinati a Solidarietà Terzo Mondo; i contatti non li avevo mai persi e Pupa e io siamo entrati nel comitato. Sono ormai quasi trent’anni che partecipo ai week-end di formazione, per portare la mia esperienza, conoscere i futuri cooperanti e... seguirli come amico. Ci sono ragazzi in partenza che hanno i nostri stessi ideali, altri che li acquisiscono con il tempo. Si parte con il cuore, una buona preparazione e un senso di rivolta contro le ingiustizie. È un lavoro impegnativo che richiede anche militanza. 

«Il mondo bisogna conoscerlo, e Inter-Agire prova a darne un assaggio a qualcuno che poi torna con delle conoscenze importanti, da diffondere qui da noi. Altro che selfie e turismo». Enzo Ritter

Il senso di giustizia ti viene dal Vangelo, da Marx o dalla tua pancia: non importa. Conta che è quella motivazione che ti spinge a partire, a rimboccarti le maniche e a guardare qualcuno negli occhi, con senso di amicizia. L’esperienza che arriva da un viaggio così uno non se la toglie dalla testa, mai. 

Io non ho mai più potuto lavorare sotto padrone. Se uno torna e fa l’impiegato di banca non ce la fa. Non la sopporti più la gerarchia: vuoi libertà, vuoi fare ciò che ritieni giusto. Io ho lavorato al Soccorso Operaio per aiutare i disoccupati a trovare lavoro e ho fatto l’insegnante di geografia. Mi sento bene solo se ho l’impressione di non seguire la corrente dell’ingiustizia. Può essere durissimo il ritorno, ma poi uno si abitua... a patto, secondo me, di trovare una situazione lavorativa che non ti frustri. In qualche modo bisogna ridurre le prospettive: cambiare la società forse non si può, né qui né altrove. Mi basta essere nonno e ne sono felice. 

Quello che mi dà fiducia, a me, vecchio pessimista? Un giorno, navigando sul web, ho trovato un giovane di Sibayo che diceva: «Vorrei riprendere la cooperativa». Ho pensato che allora forse a qualcosa tutto quello che abbiamo fatto è servito. È stato lo stesso pensiero di quando un mio ex-allievo ticinese mi ha detto: «Sore, grazie a te ho deciso di studiare geografia». 

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Priscilla De Lima Abbatiello


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